“Ci sono ferite che non guariscono, quelle ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare.”
Oriana Fallaci
Capita spesso, nel percorso della vita, che ci si fermi e ci si senta impantanati per il dolore di sentirsi non all’altezza, inadatti, in pericolo oppure estremamente spaventati o vulnerabili. Spesso quando ciò accade significa che la situazione critica che stiamo attraversando rievoca un’antica ferita, un trauma.
La parola trauma, dal greco, significa ferita, quando ci troviamo di fronte ad un trauma psicologico, percepiamo una ferita emotiva, che come una lesione fisica, ha bisogno di essere rimarginata e cicatrizzata. Nel mio lavoro, mi capita molto frequentemente di entrare in contatto con le ferite dell’anima delle persone, ferite invisibili che ancora sanguinano e che hanno bloccato i processi innati di autoguarigione del nostro cervello. A volte, queste ferite sono legate ad eventi dolorosi che hanno sconvolto la nostra vita e che hanno messo a dura prova l’equilibrio interiore ( es. lutti, abusi, incidenti, eventi e disastri naturali, malattie,ecc..), altre volte le ferite emotive hanno a che fare con un traumi relazionali, che hanno avuto un altro impatto emotivo sulla nostra storia e sullo sviluppo della personalità. Questi ultimi, i traumi relazionali, definiti traumi con la “t” minuscola, non sono meno importanti degli altri traumi, specialmente se ripetuti; infatti la ricerca scientifica ha dimostrato che nonostante la tipologia dei traumi sia molto diversa, le persone reagiscono, emotivamente, mostrando gli stessi sintomi.
E’ importante sottolineare che, in seguito ad un’esperienza traumatica, la nostra mente è in grado di far fronte alle diverse reazioni di stress neurofisiologiche e che ciò avviene, nella maggior parte dei casi, in modo naturale ed innato. Tuttavia, talvolta può succedere che questo meccanismo si sia bloccato e pertanto può esser necessario richiedere un intervento specialistico.
Capita a volte che, senza rendercene conto, tentiamo di dimenticare le nostre ferite, di cercare di non toccarle troppo per paura che tornino a sanguinare, oppure ci alleniamo a soffiarci sopra per alleviare il nostro dolore. Questo non è sbagliato, a volte è l’unica strategia che riusciamo a mettere in campo e può rappresentare un primo passo per andare avanti. Tuttavia, il lavoro terapeutico offre la grande possibilità di prendersi cura di queste ferite invisibili, di quelle crepe dell’anima da cui filtrano emozioni e sensazioni di paura, ansia, angoscia, tristezza, rabbia, sensi di colpa, attraverso un’eco lontana nel tempo che si riflette sulla finestra del presente.
Attraverso l’approccio terapeutico Emdr, come mostra il video di Medicina 33, in cui la collega Anna Rita Verardo spiega il trattamento e l’efficacia dell’Emdr (minuto 01.18), diventa possibile rielaborare i ricordi traumatici e lasciare il passato nel passato.
Poter prendersi cura delle proprie ferite è importante, perchè spesso le nostre fragilità, le nostre crepe fanno parte di noi, della nostra storia, e sono quelle che più rivelano di noi.
Poterle affrontare, senza nasconderle, ci può aiutare a trovare il modo per compensarle o trasformarle e integrarle nella nostra storia, costruendo il nostro personale modo di stare al mondo e magari osservare che proprio da quelle crepe possono germogliare fiori inaspettati ed unici
La psicoterapia con Emdr offre una seconda chance per poter elaborare queste esperienze e permette di integrare gli aspetti emotivi e cognitivi legati al trauma.
Credo permetta di dare tridimensionalità alla nostra identità, svelandone alcuni punti d’ombra, offre la possibilità di poter prenderci cura delle parti più fragili in modo da poterci comprendere ed amare finalmente, per quello che siamo e non quello che vorremmo essere.