Qualche giorno fa, mi trovavo ad un Convegno a Milano sulla lotta alla Dispersione Scolastica, un Progetto biennale finanziato dalla legge 285 (V Piano per L’infanzia) a cui ho partecipato come psicologa dell’Organizzazione Non Governativa Soleterre Onlus.
Il progetto realizzato sul territorio di Milano, prevedeva una serie di azioni volte a contrastare il fenomeno della Dispersione Scolastica e allo stesso tempo a favorire processi di Integrazione nella Scuola. La scelta metodologica del Progetto è connessa all’idea che quando si sta bene a scuola, quando ci si sente a proprio agio, integrati, accolti e stimolati nell’esperienza dell’apprendere, si previene automaticamente la dispersione scolastica. Il progetto condotto sulle 8 zone di Milano lo dimostra e sottolinea quanto sia importante per chi abita la scuola (docenti, studenti e famiglie) mettersi in gioco affinché quest’esperienza rappresenti davvero un’opportunità di crescita.
Tra i diversi contributi della giornata, uno in particolare relativo ai differenti stili di apprendimento ha acceso il mio interesse, in quanto ben sintetizza la mia esperienza di psicologa a contatto con gli alunni e le alunne delle scuole in cui lavoro. Infatti, spesso mi capita di aiutare i ragazzi/e a rileggere le proprie disavventure scolastiche come esito di inadeguati metodi di studio e non come specchio della propria incapacità di apprendere e comprendere ciò che viene richiesto nelle verifiche a scuola.
Spesso, i ragazzi e le loro famiglie, leggono dietro il brutto voto, un’incapacità relativa all’apprendere, che presto si traduce in un sentimento di inadeguatezza.
Talvolta, tale vissuto viene circoscritto al contesto scolastico, in particolare al mondo degli adulti e il ragazzo pensa “ se prendo 4, valgo 4 agli occhi dei docenti”, altre volte, il vissuto viene esteso anche al gruppo dei compagni di classe, se questi ultimi sono per la maggior parte adeguati e con un rendimento scolastico buono. Pertanto, il ragazzo penserà “se prendo 4, valgo poco anche agli occhi dei miei coetanei”. Inoltre, se la famiglia vive a sua volta, le valutazioni scolastiche come una conferma del suo essere un “bravo genitore” rischia di attribuire alla pagella del figlio un valore sbagliato e, suo malgrado, rinforza quel sentimento di inadeguatezza e bassa autostima. Proprio per questi motivi, per questi alunni e le loro famiglie il tempo delle pagelle è un tempo vissuto con ansia, angoscia, agitazione e panico oppure al contrario diventa un tempo in cui il ragazzo/a prende distanza dalla scuola, se ne disinnamora. Se l’allontanamento non finisce, il ragazzo/a percepirà la scuola sostanzialmente in due modi: annoiandosi e/o distraendosi continuamente oppure detestandola e/o rifiutando le regole e le relazioni di quel contesto (tipico dei ragazzi con comportamenti oppositivi in classe).
Il mio lavoro con gli alunni e le alunne parte proprio da queste premesse e persegue in sintesi tre obiettivi:
- aiutare il docente ad allargare lo sguardo sull’alunno, ovvero dietro ogni alunno/a c’è un ragazzo/a con la propria storia, le proprie caratteristiche di personalità, esperienze passate degli apprendimenti ed il proprio stile di apprendimento (convergenti, divergenti, assimilatori e adattavi)
- aiutare l’alunno/a a scoprire quali fattori influenzano l’insuccesso scolastico ( assenza del metodo di studio, interesse e motivazione per le differenti materie, bassa autostima, paura di sbagliare, scarsa capacità di concentrazione, ecc…) e mettere in pratica delle strategie per migliorare la propria relazione con la scuola.
- sostenere i genitori nel complesso ed arduo compito di motivare i ragazzi all’esperienza scolastica, accompagnarli nella scoperta di strategie volte a incoraggiare i figli dove incontrano difficoltà a scuola, comprendere i motivi dei fallimenti scolastici. Supportare i genitori affinché, di fronte agli insuccessi scolastici dei propri figli non si sentano in colpa né inadeguati come genitori.