Il tempo delle pagelle tra ansia, frustrazione e distacco.

Qualche giorno fa, mi trovavo ad un Convegno a Milano sulla lotta alla Dispersione Scolastica, un Progetto biennale finanziato dalla legge 285 (V Piano per L’infanzia) a cui ho partecipato come psicologa  dell’Organizzazione Non Governativa Soleterre Onlus2015-02-03_10.20.20

Il progetto realizzato sul territorio di Milano, prevedeva una serie di azioni volte a contrastare il fenomeno della Dispersione Scolastica e allo stesso tempo a favorire processi di Integrazione nella Scuola. La scelta metodologica del Progetto è connessa all’idea che quando si sta bene a scuola, quando ci si sente a proprio agio, integrati, accolti e stimolati nell’esperienza dell’apprendere, si previene automaticamente la dispersione scolastica. Il progetto condotto sulle 8 zone di Milano lo dimostra e sottolinea quanto sia importante per chi abita la scuola (docenti, studenti e famiglie) mettersi in gioco affinché quest’esperienza rappresenti davvero un’opportunità di crescita.

rinasci.mente_ Tra i diversi contributi della giornata, uno in particolare relativo ai differenti stili di apprendimento ha acceso il mio interesse, in quanto ben sintetizza la mia esperienza di psicologa a contatto con gli alunni e le alunne delle scuole in cui lavoro. Infatti, spesso mi capita di aiutare i ragazzi/e a rileggere le proprie disavventure scolastiche come esito di inadeguati metodi di studio e non come specchio della propria incapacità di apprendere e comprendere ciò che viene richiesto nelle verifiche a scuola.

Spesso, i ragazzi e le loro famiglie, leggono dietro il brutto voto, un’incapacità relativa all’apprendere, che presto si traduce in un sentimento di inadeguatezza.

Robert Doisneau

Robert Doisneau

Talvolta, tale vissuto viene circoscritto al contesto scolastico, in particolare al mondo degli adulti e il ragazzo pensa “ se prendo 4, valgo 4 agli occhi dei docenti”, altre volte, il vissuto viene esteso anche al gruppo dei compagni di classe, se questi ultimi sono per la maggior parte adeguati e con un rendimento scolastico buono. Pertanto, il ragazzo penserà se prendo 4, valgo poco anche agli occhi dei miei coetanei”. Inoltre, se la famiglia  vive a sua volta, le valutazioni scolastiche come una conferma del suo essere un “bravo genitore” rischia di attribuire alla pagella del figlio un valore sbagliato e, suo malgrado, rinforza quel sentimento di inadeguatezza e bassa autostima. Proprio per questi motivi,  per questi alunni e le loro famiglie il tempo delle pagelle è un tempo vissuto con ansia, angoscia, agitazione e panico oppure al contrario diventa un tempo in cui il ragazzo/a prende distanza dalla scuola, se ne disinnamora. Se l’allontanamento non finisce, il ragazzo/a percepirà la scuola sostanzialmente in due modi: annoiandosi e/o distraendosi continuamente oppure detestandola e/o rifiutando le regole e le relazioni di quel contesto (tipico dei ragazzi con comportamenti oppositivi in classe).

Il mio lavoro con gli alunni e le alunne parte proprio da queste premesse e persegue in sintesi tre obiettivi:

  1. aiutare il docente ad allargare lo sguardo sull’alunno, ovvero dietro ogni alunno/a c’è un ragazzo/a con la propria storia, le proprie caratteristiche di personalità, esperienze passate degli apprendimenti ed il proprio stile di apprendimento (convergenti, divergenti, assimilatori e adattavi)
  2. aiutare l’alunno/a a scoprire quali fattori influenzano l’insuccesso scolastico ( assenza del metodo di studio, interesse e motivazione per le differenti materie, bassa autostima, paura di sbagliare, scarsa capacità di concentrazione, ecc…) e mettere in pratica delle strategie per migliorare la propria relazione con la scuola.
  3. sostenere i genitori nel complesso ed arduo compito di motivare i ragazzi all’esperienza scolastica, accompagnarli nella scoperta di strategie volte a incoraggiare i figli dove incontrano difficoltà a scuola, comprendere i motivi dei fallimenti scolastici. Supportare i genitori affinché, di fronte agli insuccessi scolastici dei propri figli non si sentano in colpa né inadeguati come genitori.

Aggiustare un alunno rotto

Immagine

scuola_lavagna E’ tempo di fine anno scolastico, di bilanci, di attese per i scongiurati cartelloni ed infine per i sospirati esami di terza media. Lavorando nella scuola da anni, come psicologa scolastica, mi rendo conto che, il periodo da metà maggio ai primi di giugno ha una colonna sonora speciale. Per alcuni è una musica che assomiglia ad un countdown, per altri è una melodia  che amplifica paure, ansie, per altri ancora segna un cambiamento di marcia, spesso crea un’atmosfera carica di sentimenti ambivalenti. C’è chi, conta i giorni che mancano alla fine, celando un sentimento di orgoglio per essersela tutto sommato cavata, c’è chi si aspetta il peggio, nonostante gli sforzi compiuti e i progressi raggiunti, che ci spera di aver dimostrato attraverso quell’interrogazione, quella verifica di recupero di aver fatto centro, e forse il desiderio di non abbandonare i propri compagni è il motore più potente, la motivazione più grande a concentrarsi, a non mollare.  I docenti, coloro che hanno cercato in tutti i modi di motivare gli studenti, di lasciargli qualcosa, arrivano verso la fine dell’anno scolastico più provati degli alunni, sono consapevoli dell’importanza delle ultime prove ma è l’intero percorso che fa la differenza, che definisce le loro emozioni, i loro pensieri. Proprio stamattina, durante una valutazione, una professoressa mi ha detto – quando incontriamo un ragazzo che fa fatica a studiare, a memorizzare, cerchiamo in tutti i modi di aggiustare quel difetto, come fosse un alunno rotto in quel determinato punto, invece dovremmo imparare a conoscerlo, proprio da quella prospettiva-. Quella mancanza, quell’errore ripetuto, quell’impegno intermittente, quel difetto ci sta dicendo qualcosa di lui, del suo modo di interagire nell’apprendimento, a volte i docenti sono concentrati sugli obiettivi didattici da raggiungere, le famiglie sono preoccupate e temono i fallimenti e gli insuccessi scolastici, temono possano rappresentare ferite incurabili. Eppure, proseguendo il pensiero della professoressa, quelle difficoltà, quegli insuccessi aiutano a conoscere per davvero i ragazzi, ci avvicinano al loro modo di vivere la scuola, ci invitano a cercare strategie nuove per aiutarli sia nel processo di apprendimento che di crescita. Non si tratta di aggiustare un alunno rotto, si tratta di stargli accanto di fronte agli errori, alle difficoltà di concentrazione, alla fatica di memorizzare o rielaborare un testo, ricordandogli sempre che la parte più interessante dell’esperienza di apprendere significa proprio questo: imparare ad imparare.